La chiamata dall'Algonquin Hotel arriva di primissima mattina. E' già la seconda nell'ultimo mese che ci fanno. Saliamo sul furgoncino e come al solito Arthur si mette alla guida. Ancora non siamo riusciti a convincerlo di quanto sia ridicolo ad andare in giro vestito da Giubba Rossa. Almeno è veramente canadese. E' convinto che gli doni autorevolezza. Io come al solito mi siedo nel posto a destra, al finestrino. In mezzo a noi Gabriela, la nostra veterinaria messicana. Partiamo a sirene spiegate. Sirene che, fra l'altro, utilizziamo abusivamente. Probabilmente chiudono un occhio per il servizio che offriamo alla comunità. Servizio ben retribuito, ovviamente. Nessuno di noi è un benefattore.
Franklin Street è un imbuto. Troppo stretta perchè le macchine davanti a noi abbiano lo spazio per accostare e farci passare. Non abbiamo veramente fretta. Solo che a nessuno piace rimanere imbottigliato nel traffico. Finalmente imbocchiamo la Sesta sgommando, anche se Arthur rischia di investire una ragazzina che sta attraversando la strada. - Hai una guida molto italiana Arthur, lo sai? - gli dico. - Ma anche messicana. - aggiunge Gabriela. Col naso attaccato al finestino vedrò sfilare via mezza Manhattan. Non mi sembra di esagerare se dico che la parte che preferisco di questo lavoro sono i tragitti che ogni volta ci portano dalla nostra base alla nostra diversa destinazione.
Il Grand Hotel Tribeca si affaccia per primo al mio finestino. Poi, tra Lispenard e West Broadway, Pepolino il ristorante toscano di Patrizio che fa una Ribollita che quando la mangio mi sembra di essere tornato a Firenze. Poi passiamo un palazzo spoglio in costruzione, con delle reti a proteggere l'ultimo piano che nella mia testa sembrano il tetto di una pagoda e gli danno sembianze orientali. Il nostro primo intervento, ormai più di sei mesi fa, fu in un ristorante cinese a Brooklyn. Un disastro totale. Jim, il ragazzone del Nebraska che era con me e Gabriela all'inizio, si ruppe un braccio e ovviamente non ne volle sapere più di orsi. In seguito reclutammo Arthur e malgrado la sua fissa per le uniformi è ancora con noi.
Passato l'incrocio con la Houston, sorpassiamo una betoniera completamente bianca. Alla guida una bionda piuttosto attraente. Rimango sorpreso ed anche lei sembra avere la stessa espressione. Forse perchè è appena stata superata da un furgoncino completamente nero eccetto per lo stemma di un orso dentro un segnale di divieto e guidato da una Giubba Rossa. Passiamo col rosso al semaforo dell'incrocio con Minetta Lane grazie alla nostra sirena. Non si può dire che ami incredibilmente vivere a New York, ma Greenwich Village è una delle zone che preferisco. Nel frattempo l'Empire State Building fa capolino in lontananza tra i palazzi davanti a noi. L'idea della sirena fu di Arthur ovviamente. Gabriela ne fu da subito entusiasta. Io cercai insistentemente di dissuaderli. Mi sembrava un inutile pretesto per farci arrestare. Ma non è ancora successo. Evidentemente anche a New York se hai successo puoi permetterti questo tipo di stravaganze.
In genere non c'è molta conversazione tra di noi quando siamo in missione. Nè io nè Arthur siamo dei gran chiaccheroni e Gabriela dopo tutti questi mesi soffre ancora la tensione, almeno fino all'arrivo a destinazione. Io sono sempre stato uno piuttosto freddo di carattere. Mi focalizzo sulle insegne dei negozi che scorrono davanti ai miei occhi. Gray's Papaya. Qdoba Mexican Grill. Bagel Buffet. Lifethyme Natural Market. - Qdoba non mi sembra un nome messicano, o sbaglio? - chiedo a Gabriela. Mi guarda come se fossi un marziano verde con tanto di antenne appena sceso sulla terra. Vedo la Jefferson Market Library scorrere fuori dal finestrino di Arthur, poi i miei occhi tornano a guardare fuori dal mio, visto che da Gabriela non avrò risposta. Come sia iniziata, ormai più di un anno fa, questa famosa invasione degli orsi a New York, nessuno sembra saperlo. Ugualmente avvolta nel mistero è la loro provenienza. Da dove vengono tutti questi orsi? Probabilmente non dal New Jersey. E continuano ad arrivare a gettito continuo. Riceviamo almeno due o tre segnalazioni a settimana. Non ho idea di quante ne riceva la polizia. Ogni tanto c'è chi se ne ritrova uno nel giardino di casa e lo abbatte a fucilate. Poi si ritrova gli animalisti nel giardino di casa, ma per fortuna nessun animalista è stato abbattuto a fucilate per ora.
Passiamo davanti ad un Chipotle Mexican Grill. - Chipotle suona molto più messicano - dico ad alta voce, senza neanche voltarmi verso Gabriela. Siamo all'incrocio con la Quattordicesima, nel pieno del traffico di Manhattan. Arthur cerca di farsi strada zigzagando tra le quattro corsie in mezzo ad un fiume giallo di taxi. Non facciamo niente per passare inosservati. Anche all'inizio non passavamo inosservati. Quando ancora avevamo uno scassatissimo pick-up. Era un po' limitante perchè, avendo il cassone scoperto, potevamo muoverci solo quando eravamo sicuri che non piovesse. "La bara", come tutti gli apparecchi elettronici, è particolarmente sensibile all'umido. Ci abbandonò contro un albero sulla Centoventinovesima. Eravamo di ritorno da una chiamata all'Harlem Hospital Center. Non posso negare che Arthur ebbe la sua parte nello spiacevole incidente e non fu un'autonoma decisione del pick-up di andare ad abbracciare l'albero. Per fortuna nessuno di noi si fece male e soprattutto "la bara" non rimase danneggiata nè il suo ospite si accorse di niente.
All'incrocio con la Ventesima, davanti al Limelight, un mercato che un tempo era un club costruito all'interno di una chiesa sconsacrata, Arthur rischia di investire un sosia di Unabomber, o almeno un sosia del suo famoso identikit. Per fortuna al tempo dell'incidente avevamo già messo da parte abbastanza soldi da poterci permettere di comprare un mezzo alternativo. Nuovo addirittura. Lo stemma è una novità del mese scorso. Un'idea di Arthur, ovviamente.
Starbucks. McDonald's. Red Mango. Chickpea. Dopo l'incrocio con la Ventireesima Manhattan diventa sempre di più quello che ci si aspetta da Manhattan. Passiamo davanti ad un parcheggio pubblico con cinque file di auto incastrate come in un tetris. Mi sono sempre chiesto come fa il parcheggiatore se arriva il proprieterio di una macchina nell'ultima fila. Sposta le quattro macchine che ci sono davanti? Oppure quando arrivi ti prendi una delle macchine parcheggiate nella prima fila e non importa se non è la tua? Conobbi Gabriela un sabato mattina da Barnes & Noble, quello tra l'Ottantaduesima e Broadway. In quel periodo abitavo in quella zona. Non molto distante dalla Columbia University dove avevo una posizione di Post-Doc al dipartimento di Fisica e Matematica Applicata. Fu uno dei primi attacchi degli orsi. Due invasero per diverse ore e distrussero completamente il pianterreno della libreria. Io, lei e un'altra decina di persone rimanemmo bloccati al piano di sopra. All'inizio la polizia era totalmente incapace di affrontare il problema. Dopo aver abbattuto il primo arrivato a Central Park ci fu una rivolta dell'opinione pubblica. Gli uomini della polizia non avevano a disposizione nè i mezzi nè l'esperienza per catturare gli orsi. L'aiuto dei dipendenti degli zoo cittadini fu praticamente inutile. Per due settimane la città fu praticamente in mano agli orsi. Poi furono reclutate decine e decine di Rangers dai parchi nazionali di tutto il paese e la situazione tornò sotto controllo.
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Franklin Street è un imbuto. Troppo stretta perchè le macchine davanti a noi abbiano lo spazio per accostare e farci passare. Non abbiamo veramente fretta. Solo che a nessuno piace rimanere imbottigliato nel traffico. Finalmente imbocchiamo la Sesta sgommando, anche se Arthur rischia di investire una ragazzina che sta attraversando la strada. - Hai una guida molto italiana Arthur, lo sai? - gli dico. - Ma anche messicana. - aggiunge Gabriela. Col naso attaccato al finestino vedrò sfilare via mezza Manhattan. Non mi sembra di esagerare se dico che la parte che preferisco di questo lavoro sono i tragitti che ogni volta ci portano dalla nostra base alla nostra diversa destinazione.
Il Grand Hotel Tribeca si affaccia per primo al mio finestino. Poi, tra Lispenard e West Broadway, Pepolino il ristorante toscano di Patrizio che fa una Ribollita che quando la mangio mi sembra di essere tornato a Firenze. Poi passiamo un palazzo spoglio in costruzione, con delle reti a proteggere l'ultimo piano che nella mia testa sembrano il tetto di una pagoda e gli danno sembianze orientali. Il nostro primo intervento, ormai più di sei mesi fa, fu in un ristorante cinese a Brooklyn. Un disastro totale. Jim, il ragazzone del Nebraska che era con me e Gabriela all'inizio, si ruppe un braccio e ovviamente non ne volle sapere più di orsi. In seguito reclutammo Arthur e malgrado la sua fissa per le uniformi è ancora con noi.
Passato l'incrocio con la Houston, sorpassiamo una betoniera completamente bianca. Alla guida una bionda piuttosto attraente. Rimango sorpreso ed anche lei sembra avere la stessa espressione. Forse perchè è appena stata superata da un furgoncino completamente nero eccetto per lo stemma di un orso dentro un segnale di divieto e guidato da una Giubba Rossa. Passiamo col rosso al semaforo dell'incrocio con Minetta Lane grazie alla nostra sirena. Non si può dire che ami incredibilmente vivere a New York, ma Greenwich Village è una delle zone che preferisco. Nel frattempo l'Empire State Building fa capolino in lontananza tra i palazzi davanti a noi. L'idea della sirena fu di Arthur ovviamente. Gabriela ne fu da subito entusiasta. Io cercai insistentemente di dissuaderli. Mi sembrava un inutile pretesto per farci arrestare. Ma non è ancora successo. Evidentemente anche a New York se hai successo puoi permetterti questo tipo di stravaganze.
In genere non c'è molta conversazione tra di noi quando siamo in missione. Nè io nè Arthur siamo dei gran chiaccheroni e Gabriela dopo tutti questi mesi soffre ancora la tensione, almeno fino all'arrivo a destinazione. Io sono sempre stato uno piuttosto freddo di carattere. Mi focalizzo sulle insegne dei negozi che scorrono davanti ai miei occhi. Gray's Papaya. Qdoba Mexican Grill. Bagel Buffet. Lifethyme Natural Market. - Qdoba non mi sembra un nome messicano, o sbaglio? - chiedo a Gabriela. Mi guarda come se fossi un marziano verde con tanto di antenne appena sceso sulla terra. Vedo la Jefferson Market Library scorrere fuori dal finestrino di Arthur, poi i miei occhi tornano a guardare fuori dal mio, visto che da Gabriela non avrò risposta. Come sia iniziata, ormai più di un anno fa, questa famosa invasione degli orsi a New York, nessuno sembra saperlo. Ugualmente avvolta nel mistero è la loro provenienza. Da dove vengono tutti questi orsi? Probabilmente non dal New Jersey. E continuano ad arrivare a gettito continuo. Riceviamo almeno due o tre segnalazioni a settimana. Non ho idea di quante ne riceva la polizia. Ogni tanto c'è chi se ne ritrova uno nel giardino di casa e lo abbatte a fucilate. Poi si ritrova gli animalisti nel giardino di casa, ma per fortuna nessun animalista è stato abbattuto a fucilate per ora.
Passiamo davanti ad un Chipotle Mexican Grill. - Chipotle suona molto più messicano - dico ad alta voce, senza neanche voltarmi verso Gabriela. Siamo all'incrocio con la Quattordicesima, nel pieno del traffico di Manhattan. Arthur cerca di farsi strada zigzagando tra le quattro corsie in mezzo ad un fiume giallo di taxi. Non facciamo niente per passare inosservati. Anche all'inizio non passavamo inosservati. Quando ancora avevamo uno scassatissimo pick-up. Era un po' limitante perchè, avendo il cassone scoperto, potevamo muoverci solo quando eravamo sicuri che non piovesse. "La bara", come tutti gli apparecchi elettronici, è particolarmente sensibile all'umido. Ci abbandonò contro un albero sulla Centoventinovesima. Eravamo di ritorno da una chiamata all'Harlem Hospital Center. Non posso negare che Arthur ebbe la sua parte nello spiacevole incidente e non fu un'autonoma decisione del pick-up di andare ad abbracciare l'albero. Per fortuna nessuno di noi si fece male e soprattutto "la bara" non rimase danneggiata nè il suo ospite si accorse di niente.
All'incrocio con la Ventesima, davanti al Limelight, un mercato che un tempo era un club costruito all'interno di una chiesa sconsacrata, Arthur rischia di investire un sosia di Unabomber, o almeno un sosia del suo famoso identikit. Per fortuna al tempo dell'incidente avevamo già messo da parte abbastanza soldi da poterci permettere di comprare un mezzo alternativo. Nuovo addirittura. Lo stemma è una novità del mese scorso. Un'idea di Arthur, ovviamente.
Starbucks. McDonald's. Red Mango. Chickpea. Dopo l'incrocio con la Ventireesima Manhattan diventa sempre di più quello che ci si aspetta da Manhattan. Passiamo davanti ad un parcheggio pubblico con cinque file di auto incastrate come in un tetris. Mi sono sempre chiesto come fa il parcheggiatore se arriva il proprieterio di una macchina nell'ultima fila. Sposta le quattro macchine che ci sono davanti? Oppure quando arrivi ti prendi una delle macchine parcheggiate nella prima fila e non importa se non è la tua? Conobbi Gabriela un sabato mattina da Barnes & Noble, quello tra l'Ottantaduesima e Broadway. In quel periodo abitavo in quella zona. Non molto distante dalla Columbia University dove avevo una posizione di Post-Doc al dipartimento di Fisica e Matematica Applicata. Fu uno dei primi attacchi degli orsi. Due invasero per diverse ore e distrussero completamente il pianterreno della libreria. Io, lei e un'altra decina di persone rimanemmo bloccati al piano di sopra. All'inizio la polizia era totalmente incapace di affrontare il problema. Dopo aver abbattuto il primo arrivato a Central Park ci fu una rivolta dell'opinione pubblica. Gli uomini della polizia non avevano a disposizione nè i mezzi nè l'esperienza per catturare gli orsi. L'aiuto dei dipendenti degli zoo cittadini fu praticamente inutile. Per due settimane la città fu praticamente in mano agli orsi. Poi furono reclutate decine e decine di Rangers dai parchi nazionali di tutto il paese e la situazione tornò sotto controllo.
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