26 luglio 2010

Come una farfalla



Sono un uomo morto che cammina. 
In realtà il verbo camminare non descrive accuratamente il modo in cui trascino stancamente i piedi, rischiando di inciampare ad ogni passo nella fitta vegetazione della giungla. Davanti a me un membro della milizia ribelle apre la strada a colpi di machete. Ai miei fianchi altri due sono pronti a sorreggermi ogni volta accenni a cadere. Quello dietro di me l'ho visto di sfuggita e mi è sembrato estremamente giovane. Tiene un vecchio fucile puntato alla mia schiena. Non ho idea di dove mi stiano portando e quale sia il mio destino, ma ho la sensazione che non vedrò sorgere il sole domani mattina.
Sono stato rinchiuso come un topo in una gabbia per tre giorni. Senza cibo. Dissetato con dell'acqua sporca che mi veniva portata, raramente, da una delle guardie. Unico tipo di contatto che ho avuto con i miei carcerieri. Il primo giorno ho tentato in tutti i modi di comunicare con loro. Ho cercato di dirgli come si fossero sbagliati. Sono un giornalista. L'ho detto in tutte le lingue che conosco e in tutti i modi possibili. Ero arrivato fin lì dalla vecchia Europa per documentare la loro rivolta. Perchè supportavo la loro causa. Poi mi sono rassegnato al fatto che anche nel caso in cui ci fosse stato qualcuno che parlasse inglese o francese, non c'era nessuno che prestasse la minima attanzione nei miei confronti. Il secondo giorno è stato quello del terrore. Della paura fottuta di non sopravvivere. Gli stati d'animo si accumulavano e si sostituivano schizofrenicamente nella mia testa. La depressione mi ha paralizzato disteso al suolo, incapace di qualsiasi movimento. Le crisi di pianto mi hanno scosso come se fossi in preda alle convulsioni. La rabbia mi ha fatto gridare e battere la testa contro il muro. Il terzo giorno è stato quello dei rimorsi. Perchè mi trovavo in quella gabbia? Di quali persone, di quali ideali mi volevo fare portavoce? Resistenza all'oppressione, autodeterminazione, giustizia, libertà. Libertà. Com'è vuoto il suono di questa parola in una gabbia. Stamattina, all'alba del quarto giorno, mi hanno fatto cenno con i fucili di uscire dalla mia prigione. Ci siamo messi in cammino nella giungla. Oggi è il giorno della rassegnazione.

to be continued....

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