10 gennaio 2014

Un anno di libri (versione 2013)

Anche quest'anno inauguro il blog con il riassunto del mio anno da lettore, approfittandone per fare gli auguri di buon anno a tutti. Cosa mi ha riservato il 2013? Tanto per iniziare dai numeri, Anobii (link) mi dice che ho letto 26 libri per un totale di 6666 pagine. Ben 8 libri in più dell'anno scorso (ma lo stesso numero del 2011). Tre, come gli anni scorsi, sono i libri a cui ho dato il massimo dei voti su Anobii, cinque stelline su cinque

Il primo dei tre l'ho letto ormai più di un anno fa il primo gennaio 2013. Opera teatrale del franco-romeno Eugene Ionesco, fa parte del teatro dell'assurdo  (l'assurdo è decisamente nelle mie corde e le cinque stelle non stupiscono). Il re dell'universo sta morendo ma ancora non lo sa. Quando gli viene detto, non ci crede ed è convinto, invano, di poter ancora influenzare il mondo. Silvio?

Il secondo è stata una lettura estiva ed ha bisogno di poche presentazioni. Profumo di Süskind è un bestseller internazionale. Racconta la storia di Jean-Baptiste Grenouille, mostro e genio che nella Francia del XVIII secolo operava nel settore dei profumi (non solo nel senso dei cosmetici). Un romanzo da leggere con l'olfatto.
 
Ultimo dei tre è Considera l'aragosta di David Forster Wallace. Una raccolta di saggi su argomenti tra i più disparati. Kafka, la fiera dell'aragosta, l'uso della lingua inglese, i film porno, John McCain e tanto altro. Tutti i saggi, da quelli più brevi a quelli più lunghi, sono accomunati dall'estrema acutezza dell'analisi e dall'ossessione maniacale del dettaglio. Non c'è da stupirsi della fine che abbia fatto DFW se queste erano le dinamiche di quello che gli passava per la testa.


Menzioni speciali vanno anche a:
  • Il giardino luminoso del re angelo cronaca di un viaggio in Afghanistan nel '70 (un altro mondo, ancora prima dell'invasione da parte dell'URSS), libro ormai fuori stampa e che ho dovuto sudare parecchio per scovare.
  • Casi di Charms genio incontrastato del breve racconto assurdo.
  • Reqiuem del dodo un piccolo libriccino con tema la morte, scritto da Arianna Gasbarro a cui Palahniuk certo non dispiace.
  • S. della coppia Dorst-Abrams che già ho presentato qui e che vale la pena anche solo per l'idea e il progetto realizzativo (ma per adesso è disponibile solo in inglese).

12 commenti:

  1. Foster Wallace aveva più di una guerra in corso nella sua testa, si percepisce nettamente. Tra l'altro ha scritto anche due romanzi che non sento citare spesso dai suoi estimatori; procurati soprattutto La scopa del sistema, Infinite Jest è ahimè un po' troppo pretenzioso. Ulisse odierno se ce n'è uno.

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    1. Mi hanno regalato per natale un'altra raccolta di saggi (tennis, tv, trigonometria...) e, visto che non mi concentro mai più di tanto su un autore, penso che la lettura di un suo romanzo sarà parecchio posticipata. Da Infinite Jest ho intenzione di tenermi alla larga.

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    2. Un consiglio spassionato: tienti alla larga (come ti h già detto, tra l'altro) anche da La scopa del sistema, da' retta.

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    3. Lo so, ma prima o poi mi sa che mi tocchi tentare d'imbarcarmi lo stesso in codesta lettura.

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    4. Perchè lo snobbate tutti quel romanzo? Per me è un gioiellino... Se penso poi al successo che ha avuto a confronto quella monnezza di American Psycho...

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    5. Su American Psycho sono abbastanza d'accordo (anche se Harley non approverà questa mia opinione). Ma penso abbia poco a che vedere con La scopa del sistema (se non per la diatriba DFW vs. BEE), o sbaglio?

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    6. I due romanzi, infatti, non hanno a che vedere l'uno con l'altro. L'unica cosa che li accomuna sono le opinioni poco diplomatiche che Ellis aveva del caro David.

      Tutti a sparare a zero su American Psycho. Ma qualcuno ha osato andare sotto alla superficie di quel libro? Dietro alle marche, alle descrizioni chirurgiche e superficiali c'è molto di più. Ma come ho sempre detto, "de gustibus" detiene lo scettro. Però, ecco, La scopa del sistema no... delusione scottante.

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    7. Forse è un po' stiracchiato il paragone ma non mi sembrano nemmeno agli antipodi. Io li vedo come libri "rivali" all'interno della stessa categoria in quanto entrambi racchiudono una feroce critica al consumismo/capitalismo americano e sono usciti più o meno contemporaneamente. La differenza è che il libro di Ellis mi è parso troppo paraculo e telefonato. Lo yuppie di Manhattan non è l'America e non è nemmeno il capitalismo; è solo la punta dell'iceberg di un sistema economico che influenza e contamina ogni cosa. A me è sembrato più originale il libro di Wallace ambientato in pieno Midwest, che con tanti personaggi folli e allegorici, ma al contempo tutt'altro che piatti, ha colto pienamente lo spirito degli Stati Uniti in tutte le sue contraddizioni.
      Forse sono prevenuto dopo aver visto il caro Ellis a Venezia presentare un film da lui scritto avente nel cast un attore porno e Lindsay Lohan e, credetemi, siamo a livelli da cinepanettone; però American Psycho davvero non mi piaceva nemmeno prima :D

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    8. Io ho apprezzato Infinite Jest e stimato Wallace. Però non riesco a digerirlo come romanziere. Le sue mille aperture, il suo uscire da mille topics per entrare in altrettanti, in un romanzo mi fanno dar di matto. Mio limite. Forse, molto più banalmente, avevo un'aspettativa altissima. E si sa come vanno certe cose.
      Però quel libro di Ellis è riuscito a colpire nel segno.
      Non mi esprimo nel giudicarlo come persona, perché in realtà è consuetudine per me non interessarmi del personaggio al di là della macchina da scrivere (o, purtroppo, del mac). Anche perché quando lo faccio, me ne pento sempre.
      +_+

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    9. @leopold
      Per quanto riguarda l'ambientazione, semplicemente, ognuno parla del proprio ambiente. DFW del suo midwest e BEE della sua New York.

      @Harley
      Per quanto mi riguarda, "come persona" vuol dire la persona che traspare da quello che ha scritto.

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  2. Però l'Ellis è californiano come la sua rabbia contro la macchina. In ogni caso è chiaro che l'ambientazione di un libro non possa influenzarne il giudizio a priori (vedi Cosmopolis di DeLillo che mi piacque molto), e che si può scrivere di ogni cosa in ogni dove (specialmente dove si è vissuti) però ecco, l'ho sempre vista come un'operazione un tantilello furba. Lo yuppie, Manhattan, le marche, la violenza. Poi magari è semplicemente uno stile di scrittura che non mi piace e ci costruisco attorno questa critica perchè, lo ammetto, per quel che ho letto di Ellis (interviste fondamentalmente e soltanto quel romanzo, peraltro tempo fa), mi sta parecchio sugli zebedei.
    Concordo con Wallace più saggista che romanziere e sullo stile narrativo che obiettivamente è ridondante, una cosa che nemmeno io adoro. La scopa del sistema però mi ha veramente colpito; forse perchè le aspettative, al contrario delle tue, erano basse :D

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    1. Neanche DFW è nato nel midwest, se è per quello. E Ellis ci ha vissuto a lungo, se non sbaglio, a New York e American Psycho è quello che ne è scaturito.

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