Mi sveglio di soprassalto ed il bianco abbagliante della stanza entra nei miei occhi come una lama affilata. Mi sento spaesato ed il colore piatto che arriva da ogni lato, come se volesse prendermi d'assedio, mi dà la sensazione, per assurdo, di brancolare nel buio. Gradualmente gli occhi si abituano alla luce e un senso di familiarità prende il posto dello straniamento. Gli anonimi muri bianchi, senza finestre, illuminati da una luce al neon che sembra non produrre ombre, i mobili bianchi ed il letto con lenzuola bianche sono le parti costitutive della mia camera.
Controllo la sveglia, anch'essa bianca. Segna dieci minuti alle sei. Mi chiedo cosa mi abbia svegliato e la risposta arriva immediatamente sotto forma di colpi sordi e ripetuti. Qualcuno sta bussando violentemente alla porta. L'evento è inusuale, a dir poco, ma le mie capacità di ragionare sono notevolmente ridotte dall'essere stato svegliato improvvisamente e così presto. Come un automa, mi dirigo alla porta e senza alcuna precauzione faccio per aprire. Nello stesso istante un flash-back attraversa il mio cervello. Vedo me stesso in un corteo composto da poche persone. Vedo i cartelli con gli slogan. Vedo i fumogeni e la carica della polizia. Vedo la mia fuga. In una frazione di secondo capisco quello che è successo e chi c'è dietro la porta, ma è troppo tardi. Ho già aperto uno spiraglio e in un batter d'occhio la porta si spalanca e mi ritrovo a terra travolto da tre uomini che mi immobilizzano.
Ho sbattuto la testa violentemente, ma non perdo i sensi e riesco a sentire uno dei tre agenti dire:
- In ossequio al comma secondo della legge marziale numero novantaquattro del 2 Marzo 2017, la dichiaro in arresto per attività rivoluzionaria. Considerate le prove incontrovertibili a suo carico la condurremo immediatamente in tribunale per la lettura della sentenza.
Un senso di nausea si impadronisce di me mentre vengo ammanettato, alzato di peso e trascinato fuori dalla porta.
Nella tromba delle scale c'è la stessa luce piatta del mio appartamento, i muri sono dipinti con la stessa vernice bianca e gli appartamenti si distinguono l'uno dall'altro solamente grazie ad un piccolo numero nero al centro di ciascuna porta. Uscito dal palazzo sono accolto dalla luce rossa dei lampeggianti della camionetta della polizia e dal cielo grigio che scarica una sottile ma incessante pioggerella. L'esistenza di altri colori mi rincuora. Il mio palazzo è un parallelepipedo di cemento grigio di otto piani del tutto identico a l'altra decina di palazzi che riempiono la strada. Il panorama non cambia significativamente durante il tragitto verso il tribunale e, pur non potendo vedere attraverso i muri, m'immagino decine di migliaia di stanze bianche come la mia, con gli stessi mobili e la stessa illuminazione al neon.
Il tribunale si trova sul colle più alto della città, come per dominarla, forte della sua imponenza neoclassica. Doppia fila di colonne ed imponente cupola. Il tutto rigorosamene bianco accecante. La camionetta si ferma davanti ad una delle innumerevoli entrate secondarie e io vengo fatto scendere. Il mio ingresso viene registrato tramite una scansione del codice a barre presente sul mio polso. L'ufficiale di guardia comunica ai tre agenti che mi accompagnano il numero di pratica che mi riguarda e l'aula dove devo presenziare alla lettura della sentenza. Mi rendo conto che le mie percezioni sono attenuate. Percorro gli ampi corridoi di marmo come se stessi fluttuando e senza provare alcun tipo di emozione. Il non avere alcuno scampo mi ha reso distaccato, come se il mio destino non mi appartenesse più.
L'attesa davanti all'aula è breve. Nel giro di qualche secondo esce un primo condannato, urlante e piangente, trascinato a forza dai suoi tre agenti del tutto uguali a quelli assegnati a me. Subito ne entra nell'aula un altro, ma dopo un paio di minuti è già fuori, scortato verso la medesima direzione di quello che l'ha preceduto. Adesso è il mio turno.
La stanza mi dà l'impressione di essere enorme, forse perchè completamente spoglia, fatta eccezione per il banco rialzato del giudice e due paletti di legno all'altezza dei quali mi fanno fermare. Il giudice è un ragazzo che dimostra meno anni di me. Il suo sguardo non si alza neanche dallo schermo dove legge le sentenze.
- Pratica numero tre sette due uno cinque barra quattro.
Poi il giudice pronuncia il mio nome. Gli agenti mi intimano di confermare la mia identità e prontamente lo faccio.
- Il chip per il controllo dell'attività cerebrale durante il sonno impiantato nell'accusato ha rilevato attività anomale. Nei tracciati di questa notte tra le ore quattro e le ore quattro e trenta i valori statistici hanno superato la soglia prestabilita. Pertanto, in base al secondo comma della legge marziale numero novantaquattro che regola le azioni svolte durante i sogni, dichiaro l'imputato colpevole di attività rivoluzionaria. Come stabilito dalla suddetta legge, lo condanno, per volere dello stato sovrano, ad anni dieci di detenzione con effetto immediato.