8 febbraio 2011

Messico e nuvole

Sono abitudinario e da quando vivo in questo anonimo paesino messicano trascorro ogni domenica mattina in Plaza 5 de Mayo, alla cantina davanti alla chiesa. Come ogni domenica mattina mi trovo a camminare stancamente sulla polverosa strada di terra rossa che dalla casupola dove abito porta all'incrocio con la Carretera Federal oltre la quale c'è il paese. L'azzurro del cielo è intervallato da alcune nuvole solitarie. La statua, che si trova sopra il tetto dell'officina di Ramon e che sembra una piccola copia del Cristo Redentore di Rio a cui mancasse il braccio destro, mi dà le spalle. Faccio ancora pochi passi ed arrivo all'incrocio. Il señor Arroyo è seduto su una delle sedie verdi di plastica sotto la tettoia di alluminio fuori dal suo negozio di miscelanea, cioè che vende un po' di tutto, a veder passare le macchine. E di macchine non ne passano molte da questa parti e anche adesso non ce n'è una a perdita d'occhio. Attraverso e lo saluto entrando nel negozio che fa anche le veci di ristorante e fermata dell'autobus del paese. Come ogni domenica compro una busta da lettere e come ogni domenica al bancone c'è Maribel, la figlia del señor Arroyo, che mi sorride e mi chiede se almeno questa volta la scriverò a lei la lettera. Le restituisco il sorriso, ma se che non lo farò.
Ogni domenica mattina mi siedo allo stesso tavolino fuori dalla cantina di fronte alla chiesa, ma oggi c'è seduto un tizio che non ho mai visto prima. Lo guardo perplesso e lui risponde con uno sguardo altrettanto perplesso. Desisto dall'idea di chiedergli di alzarsi e di restituirmi il posto e mi metto nel tavolino a fianco. La giornata non è iniziata sotto i migliori auspici. La chiesa è piccola, ma pittoresca. Tipicamente messicana, bianca con decorazioni azzurre. Sul lato sinistro c'è un campanile alto il doppio della chiesa, ma la campana manca, a quanto pare, da un sacco di tempo. Sicuramente da prima che io arrivassi. Dicono che l'abbiano rubata quelli del paese vicino per ripicca e perchè una volta costruita la loro chiesa ed il loro campanile non avevano più soldi per la campana. Il parroco del nostro paese pensa che ci siano modi migliori di spendere i pochi soldi a sua disposizione che in una campana. L'idea di riappropriarsi della propria penso sia ritenuta troppo faticosa per essere messa in pratica dai miei compaesani. Il portone è in realtà un cancelletto di ferro, colorato anche quello di azzurro, con un'improbabile tenda bianca di plastica che toglie quel poco di sacralità rimasta al posto. Delle bandierine bianche, rosse e verdi sono appese a festa dalla facciata della chiesa ai quattro angoli della piazza. Per quel che ne so, sono lì dalla notte dei tempi. Assorto nei miei pensieri non mi accorgo che l'usurpatore di tavolini si è alzato e quando mi sento toccare sulla spalla faccio un balzo sulla sedia. Dopo essersi scusato per aver disturbato, mi chiede se abbia idea di come mai il negozio del barbiere sia chiuso e sprangato. Tutti nel paese sanno che il barbiere è al De-Efe, come chiamano qui la capitale, dalle iniziali di Distrito Federal, per il funerale di una zia. Gli chiedo se è forestiero. Per tutta risposta mi guarda male e si rimette a sedere al suo posto, anzi al mio posto. Forse l'ha turbato il fatto che siano stati il mio accento ed il mio aspetto molto poco messicani a dargli dello straniero. In ogni caso non mi curo di lui ulteriormente e tiro fuori penna e foglio di carta che fermo, per non farmelo portar via dal vento, con una Coronita vuota che suppongo sia sul tavolo almeno dal giorno precedente.
Come ogni domenica le scrivo descrivendo accuratamente la melodia che il vento suona tra i pochi alberi e tra le bandierine e le storie che le forme delle nuvole raccontano e come si evolvono sotto dettatura dell'armonica suonata dal vento stesso. Oggi, inoltre, le racconto di Hector, del suo amore e di come si strugge per Maribel che però non lo degna di uno sguardo. Tutto questo senza che lei abbia la minima idea di come siano fatti Hector e Maribel. O Ramon e padre Pedro, il parroco del paese, e tutto il resto di umanità messicana che popola questo paesino di cui le racconto ogni settimana le vicissitudini. Le scrivo dello sconosciuto in cerca del barbiere. Del funerale gliel'avevo già scritto la settimana scorsa. In teoria in questo paesino sarebbe meno straniera lei del tizio al mio tavolino, ma in realtà non so neanche se le arrivino le lettere che le scrivo.
Quando ho finito la mia lettera, piego il foglio e lo metto nella busta. Poi ordino un succo di frutta e mi godo il colorato spettacolo di tutti gli abitanti del paese che vanno a messa vestiti a festa. Non posso fare a meno di notare che anche lo sconosciuto si alza dal tavolino e si dirige verso l'entrata della chiesa. Mentre chiude la porta della cantina per andare a sentire l'omelia di padre Pedro chiedo a Carmen se abbia idea di chi sia il tizio che ha usurpato il mio posto, ma lei per risposta alza semplicemente le spalle. Come ogni domenica sono l'unica anima viva fuori dalla chiesa a quest'ora. Anche lo spelacchiato cane di Ramon si accuccia davanti alla porta in fondo alla navata centrale. Le due cose che ho fatto più fatica a far accettare di me sono state l'ateismo e l'essere astemio. A dir la verità non sono sicuro che le abbiano del tutto accettate visto che continuano ad offrirmi da bere e raccontarmi dei famosi sermoni di padre Pedro. Il resto delle mie stranezze, prima fra tutte quella di essere arrivato dal nulla e non esser più partito, non hanno causato scalpore alcuno.
Aspetto la fine della messa leggendo un'edizione color panna di Cien Años de Soledad di Garcia-Marquez, comprato tre mesi fa insieme ad una nutrita scorta di altri libri durante l'ultima delle mie rare sortite nella capitale distrettuale che si trova a cinque ore di pullman dal paese. Leggere è una delle mie principali attività. Oltre allo scrivere. Non solo lettere per lei, ma anche racconti e una specie di romanzo autobiografico che nessuno potrà mai leggere, almeno finchè sarò in vita. E curo una sorta di orticello che ho messo su, dietro alla casupola.
Finita la messa, come tutte le domeniche, dal señor Arroyo si svolge un pranzo con tutte le personalità del paese ed io modestamente ne faccio parte, in quanto unico straniero in un paese dove nessun abitante ha mai messo piede fuori dal Messico. Poco prima che finisca la messa richiudo il libro e ritorno verso l'incrocio con la Carretera Federal. Aspetto gli altri al riparo dal sole sotto la tettoia del negozio del señor Arroyo. Oltre a lui ed a me, partecipano solitamente ad i pranzi domenicali: padre Pedro, il sindico Emiliano Gonzalez, il membro più anziano della comunità don Antonio, il barbiere ed infine Juan figlio di Carmen le volte che torna in paese da Acapulco dove studia medicina all'Universidad Autonoma de Guerrero, altrimenti in sostituzione sua madre. Oggi per via del funerale manca il barbiere, ma c'è Juan. Passo un quarto d'ora immerso nei miei pensieri, ma vengo riportato all'attenzione dal vociare sempre più intenso che mi avverte che i commensali stanno arrivando. Juan, con cui non ci vediamo da qualche settimana, mi saluta calorosamente ed inizia subito a raccontarmi delle sue ultime avventure nella grande città. A capotavola don Antonio, in quanto membro anziano, presiede la riunione che in genere viene fatta mentre aspettiamo che la moglie del señor Arroyo finsca di preparare il pranzo. Le bottiglie di mezcal iniziano ad arrivare sul tavolo attorno a cui sediamo su delle panche malferme. A portare le bottiglie è Maribel, che assiste divertita al consiglio cittadino quando non deve aiutare in cucina. Oggi all'ordine del giorno c'è la morte improvvisa e misteriosa di una gallina del pollaio di don Antonio, che ha la tendenza a ritenere di interesse pubblico tutto ciò che succede a casa sua. Il dibattito è intenso, come tutte le domeniche, indipendentemente dall'argomento. Io, per indole, mi trovo decisamente a mio agio in queste discussioni. Nel pieno della zuffa sulla gallina di don Antonio, senza che sia riuscito in pieno a capire quali siano le argomentazioni delle parti contrastanti, mi alzo e chiedo la parola. Come ho spiegato, godo di un certo rispetto nella comunità, malgrado non sia autoctono: Quindi, non dico che tutti facciano subito silenzio, ma almeno la discussione prosegue in modo sufficiente moderato da darmi modo di parlare. Riporto all'asseblea l'incontro che ho avuto poco prima, fuori dalla cantina di Carmen, con lo sconosciuto che cercava il barbiere. Don Antonio ammette di aver visto uno sconosciuto in chiesa rispondente alla mia descrizione e prontamente lo accusa dell'assassinio della sua gallina. La discussione riparte con nuovo furore e viene interrotta solamente dall'arrivo della moglie del señor Arroyo con la zuppa di langostinos. Il pranzo riesce ogni domenica ad appianare le divergenze di opinione. Maribel, la signora Arroyo e Carmen, la cui cantina è più spesso chiusa che aperta, si uniscono alla tavolata. Dopo la zuppa c'è della carne di capra cotta sul fuoco insieme a delle verdure. I complimenti alla cuoca si sprecano e le discussioni di pochi minuti prima sono già dimenticate.
Finito il pranzo consegno la lettera a Juan in modo che la porti con sé ad Acapulco. Le settimane in cui non torna al paese è la madre ad andare da lui e quindi è lei la depositaria della mia lettera. Ad Acapulco Juan consegna la lettera ad un suo amico che lavora su una nave da crociera che tutte le settimane fa la spola tra Acapulco e San Diego. A San Diego la lettera, ipoteticamente, viene francobollata e imbucata. La cosa sorprendente è che questa pratica venga vissuta da tutti come normale, senza che nessuno si chieda come mai non la spedisca direttamente dal negozio del señor Arroyo, dal quale l'autobus giornaliero la porterebbe agli uffici postali della capitale distrettuale. Se la lettera arrivi davvero in Italia, come ho già detto, non lo so. Così come non so se lei nel frattempo abbia cambiato città o semplicemente indirizzo. Considerando che tutto questo percorso è fatto in modo che non si possa risalire al mio luogo di residenza, è evidente come non abbia mai potuto mettere nella lettera un indirizzo al quale rispondermi. Queste incognite che pesano sulla mia corrispondenza non mi frenano da continuare a scriverle. E' l'unico contatto, anche se univoco, che posso avere con lei.
Dopo aver salutato tutta la compagnia, attraverso la deserta Carretera Federal, passo accanto all'officina di Ramon e alla pseudo-statua del Cristo Redentore senza un braccio e sono di nuovo sulla strada di terra rossa verso la mia casupola che dista dal paese una decina di minuti a piedi, di passo svelto. Quando arrivo, invece di rincasare, mi metto un po' sull'amaca sul retro a leggere Garcia-Marquez. Ma dopo poche pagine poso il libro aperto sul petto e fisso le nuvole che si rincorrono nel cielo sopra di me. Il mio pensiero torna di nuovo a lei. Lei che è bella, lo so, è passato del tempo ma io ce l'ho nel sangue ancora e vorrei, sì, io vorrei tornare laggiù da lei ma so che non andrò. Questo è un amore di contrabbando ed è meglio restar disteso qui a guardare il cielo davanti a me.


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