Il ministro della difesa tedesco Karl-Theodor zu Guttenberg (fra l'altro di che sa quello zu buttato lì?) è stato accusato di aver copiato una parte della tesi di dottorato. La faccenda ha suscitato indignazione e l'opposizione, per denigrarlo, l'ha paragonato a Berlusconi, paragone giudicato infamante dal governo tedesco.
Uno può dire: "finchè è la Germania...si sa come sono fatti i tedeschi...sempre così ligi alle regole". Ma come fa notare Spinoza:
I ribelli: “Il regime è sostenuto dall’Italia”. Gheddafi: “L’Italia arma i ribelli”. Capisci il nostro prestigio internazionale vedendo le fazioni che per insultarsi si accusano a vicenda di essere nostri amici.
L'Italia è il metro di giudizio a livello internazionale dell'infamia politica.
A margine, vorrei far notare che il Corriere scrive:
l’università ha ritirato il PhD conseguito dal ministro nel 2007, dopo che egli stesso aveva rinunciato a usare per sempre il titolo di dottore, qualcosa che in Germania è assegnato con molta più parsimonia che in Italia, solo a coloro che hanno sostenuto un dottorato di ricerca.
Faccio notare al corrispondente Danilo Taino che in tutto il mondo, tranne in Italia (a proposito di tenere bassa l'asticella), il titolo di dottore è assegnato solo a coloro che hanno un dottorato di ricerca. Vero Mr. Wolowitz?
Viviamo in un'epoca di esaltazione della mediocrità. Non in un'epoca mediocre, ma in un'epoca dove la mediocrità ha sostituito l'eccellenza come modello. Questa è la mia opinione.
Maggiore spacciatrice di mediocrità è la televisione, con tutti i Grandi Fratelli ed Amici di Maria de Filippi (anche solo il nome fa venire in mente il clientelismo invece che il merito). E fin qui non dico nulla di nuovo. Ma la mediocrità è dappertutto. Anche nell'editoria, dove i vari Moccia, Fabio Volo e Dan Brown spopolano. E diretta conseguenza di questo è l'esplosione delle Vanity Press, case editrici dove chiunque può pubblicare, pagando. Dell'arte contemporanea ho già parlato qui. Se tutto è arte (una porta, un armadio), allora nulla è arte.
E cosa dire riguardo al fatto che intellettuale ormai è diventata una parolaccia. Quando viene usato come complimento, il destinatario si schermisce. Più spesso viene usato come termine denigratorio, verso chi non è in sintonia con il popolo. L'intellettuale dovrebbe adeguarsi al popolo, dovrebbe scegliere come modello la mediocrità. Guai ad affermare che il popolo dovrebbe prendere a modello qualcosa di alto.
Il motivo dell'esaltazione della mediocrità? E' semplice. La mediocrità è alla portata di tutti. E allora tutti possono immaginarsi scrittori, musicisti, artisti. Il talento, l'eccellenza ed il genio sono qualcosa di irraggiungibile, qualcosa a cui tendere. E' molto più conveniente e veloce da consumare, comprare e vendere la mediocrità. Il genio non ha mercato.
Il titolo del post di ieri sera era un omaggio al tormentone sanremese della gialappa's di quest'anno: "il gufo con gli occhiali". Che a sua volta è un omaggio ad una canzone di Morandi: Sei forte papà. Anche se a me piace più la versione alternativa.
Questo post di servizio si è reso necessario perchè da ieri sera il blog è stato invaso da visite di gente che cercava su google informazioni sul gufo con gli occhiali.
Come tutti gli anni, sto seguendo il festival di Sanremo attraverso il commento della Gialappa's (quest'anno su RTL). Da quando sono in Belgio ovviamente in streaming e senza il contributo delle immagini televisive (il che rende la cosa ancora più surreale).
Ma voglio parlare di una cosa che ha a che fare col festival solo marginalmente. Luca e Paolo, iene e spalle di Morandi al festival, ieri sera hanno fatto questo pezzo:
Oggi qualcuno titola che la satira di Luca e Paolo assolve Berlusconi. Forse sono strano io, ma a me sembra che, invece, la satira di Luca e Paolo condanni gli italiani.
E' mattina. Pierluigi ha appena finito di fare colazione e sta, di nuovo, rigovernando. Mentre sta asciugando la tazza suona il campanello. Pierluigi va verso la porta ed alza la cornetta.
- Chi è?
Nessuna risposta. Guarda nello spioncino e, dopo essersi ritratto, rimane per un secondo pensieroso. Poi apre la porta. La Morte entra in casa con la falce d'ordinanza nella mano sinistra ed un giornale sotto l'altro braccio.
- Vedo che finalmente hai preso a cuore le sorti delle mie stoviglie.
Pierluigi nota il giornale.
- E anche quelle della politica italiana. E' il giornale di oggi?
- No è quello di domani.
Pierluigi ride come se quella della Morte fosse una battuta, ma nota il suo sguardo estremamente cupo e sofferente. Il giornale è effettivamente quello di domani.
- Che succede?
- Ho fatto un errore. Una cosa imperdonabile. Non era mai successo dall'inizio dei tempi. Non so cosa mi sia accaduto. Dove avevo la testa?
- Di che stai parlando?
La Morte apre il giornale e lo porge a Pierluigi, che legge ad alta voce.
Pierluigi guarda la Morte e poi guarda di nuovo il giornale.
- Vuoi dire che hai sbagliato a leggere sul tuo libro dei morti?
- Peggio. Molto peggio. Ho fatto morire la persona sbagliata.
Pierluigi rimane senza parole e così la Morte.
- Ma...
Si ferma a pensare prima di proseguire.
- E' per colpa mia? Per quello che è successo ieri sera? Per il bacio?
- Non dire sciocchezze.
Ma il tono della sua voce non è sprezzante come al solito. E' incerto.
- Ok.
Pierluigi fa una pausa.
- Però c'è un'altra cosa. Ci ho pensato stanotte. Sai, non sono riuscito a dormire. Passato l'entusiasmo per aver vinto un'altra volta una partita a scacchi con te, ho riflettuto. Proprio ieri sera mi hai detto che non si sconfigge due volte la Morte?
- Già.
- Già. Poi non sono neanche un gran giocatore di scacchi.
- Puoi dirlo forte.
Pierluigi sorride. E sorride anche la Morte. Pierluigi si avvicina di nuovo, ma lei lo ferma frapponendo la falce. Lui però la sposta, la prende per la vita e la bacia di nuovo.
- E adesso che succede?
- Adesso il Silvio Berlusconi che non era destinato a morire è morto e quello che era destiato a morire non è morto e vivrà per sempre.
Pierluigi apre le braccia sconsolato.
- Per sempre? Un incubo. Lo sapevo che sarebbe andata a finire così.
Poi fissa negli occhi la Morte.
- Comunque io intendevo chiedere cosa succede a noi.
E la Morte fissa negli occhi Pierluigi.
- Dipende da te. Cosa vuoi che succeda?
I due continuano a fissarsi negli occhi per un tempo indecifrabile. Alla fine Pierluigi fa un gesto di assenso con la testa.
And it was clear he couldn't go on Then the door was open and the wind appeared The candles blew then disappeared The curtains flew then she appeared saying "Don't be afraid" Come on baby...and he had no fear And he ran to her...then they started to fly They looked backward and said goodby...he had become like they are He had taken her hand...he had become like they are Come on baby...don't fear the reaper
La partita prosegue nel più assoluto silenzio per decine e decine di minuti. Pierluigi è estremamente concentrato sul gioco e distoglie raramente gli occhi dalla scacchiera. La Morte sembra turbata e guarda più intensamente Pierluigi della scacchiera. Pochi pezzi sono rimasti in gioco e la partita non è più a senso unico come sembrava all'inizio. Mentre la partita prosegue, la notte si fa più fonda e l'atmosfera diventa sempre più ovattata. Gli unici suoni sono quelli dei pezzi che vengono mossi sulla scacchiera. Dalla strada un silenzio irreale. La situazione non sembra sbloccarsi per altri interminabili minuti finchè la regina bianca non si trova in posizione di dare scacco al re nero.
- Scacco matto.
Pierluigi si abbandona sullo schienale della sedia, alza un pugno al cielo e si lascia andare ad un sorriso di vittoria. La Morte sembra rinfrancata.
- Com'è che quando conta vinco sempre io?
Pierluigi si avvicina alla Morte e con una mano le accarezza il volto. La Morte spiazzata dal gesto si lascia sfuggire la falce dalla mano che casca per terra con un gran fragore. Pierluigi fa un balzo, come per schivarla.
- Mi vuoi tagliare un braccio?
La Morte sembra pietrificata e non apre bocca. Pierluigi si alza per raccogliere la falce, ma allo steso tempo anche la Morte si alza per lo stesso motivo. I due si trovano, in piedi, uno di fronte all'altra. Pierluigi fa un passo verso la Morte, le abbassa il cappuccio dalla testa e la accarezza di nuovo sul volto. I due sono ad un palmo di distanza, ma Pierluigi si avvicina ulteriormente fino a baciare dolcemente la Morte sulle labbra. La Morte ha gli occhi chiusi e quando li riapre ci si può vedere dentro smarrimento. Poi la sua espressione diventa rabbiosa. La Morte spinge via Pierluigi che cade per terra. La Morte recupera la sua falce e batte il manico sul pavimento. Questo gesto fa apparire sul tavolo un vecchio e voluminoso libro nero. La Morte lo apre.
- Silvio Berlusconi, nato a Milano il 29 Settembre 1936, morirà il 22 Gennaio 2011 per le lesioni successive ad una caduta incidentale.
- Ma è domani.
La Morte batte nuovamente il manico della falce sul pavimento e scompare dalla vista di Pierluigi.
- Mezza Italia verrà processata per omicidio colposo per tutti gli accidenti che gli ha mandato.
E' sera ed il buio è già sceso sulla città. Pierluigi ha finito da poco di mangiare ed è in cucina a lavare i piatti illuminato dalla luce artificiale di una lampadina.
D'improvviso si sente la finestra sbattere violentemente. Pierluigi sta asciugando un bicchiere e lo lascia cadere per lo spavento. Il bicchiere va in frantumi per terra. Pierluigi si volta di scatto verso la finestra. E' spalancata. Poi il suo sguardo si muove verso il tavolo dove, seduta, c'è una figura incappucciata vestita con un pesante mantello nero. Nella mano sinistra ha una imponente falce. Pierluigi non sembra stupito.
- Ciao. Qualche volta, tanto per cambiare, potresti anche concederti un'entrata un po' meno teatrale. Se non per me, fallo almeno per i miei bicchieri. Altrimenti inizio a pensare che ti sia messa d'accordo con quelli dell'IKEA.
La Morte volge lo sguardo verso Pierluigi e rivela il volto affascinante di una giovane ragazza dagli occhi scuri e profondi. Lunghi capelli neri si intravedono sotto il cappuccio. Il viso è pallido. La Morte sorride a Pierluigi.
- Facciamo una delle nostre partitine amichevoli?
- Raccolgo i cocci, finisco di rigovernare e poi sono da te.
Pierluigi prende la scopa e la cassetta, raccoglie i frammenti di vetro e li getta nella spazzatura.
- Mentre finisco qui potresti preparare il caffè.
- Mi hai preso per la governante?
Malgrado la risposta sprezzante, la Morte sia alza con la falce ben salda nella mano sinistra e si avvicina ai fornelli. Si muove con familiarità nella cucina di Pierluigi sapendo esattamente dove cercare la caffettiera ed il caffè. I movimenti sono impacciati dal fatto di poter usare solo la mano destra.
- Devi necessariamente portarti dietro codesta falce ogni cosa che fai? Non la puoi appoggiare un secondo?
- Direi proprio di no. Fa parte dell'iconografia.
La morte tenta invano di aprire la macchinetta del caffè con una mano sola. Pierluigi nota gli sforzi della Morte.
- E' meglio se lasci fare a me.
Pierluigi prende la caffettiera dalle mani della Morte.
- Entri dalle finestre. Appari, sparisci e diavolerie varie. Visto che c'eri potevi anche dotarti del superpotere di aprire le macchinette del caffè con una mano sola.
La Morte manda a Pierluigi uno sguardo al vetriolo, ma poi lascia fare a lui e torna a sedersi. Pierluigi mette il caffè nella macchinetta e la mette sul fuoco poi torna a rigovernare.
- Allora, com'è andata la settimana?
- Ah le solite cose. Soprattutto infarti, ma c'è stato un uomo in Brasile....
La Morte rivolge lo sguardo verso Pierluigi.
- Mi stai prendendo per il culo?
Pierluigi non risponde, ma si volta verso di lei sorridendo. La Morte scuote la testa. Lui nel frattempo ha finito di rigovernare ed apre la dispensa dove fra la pasta, il sale e le patate c'è una scacchiera. Porta la scacchiera sul tavolo e tira fuori i pezzi. I neri alla Morte. I bianchi a lui.
- Nessuno ti ha insegnato che non si scherza con la Morte?
- Suvvia, non ti mettere a fare la permalosa.
Entrambi dispongono meticolosamente i propri pezzi sulla scacchiera. La Morte muove il primo pedone. Poi tocca a Pierluigi.
- E comunque non mi torna questa storia dell'iconografia. La morte non dovrebbe apparire come qualcosa di spaventoso? L'iconografia non dice che dovresti essere uno scheletro o roba del genere? Com'è che sei così bella?
La Morte alza lo sguardo dalla scacchiera verso Pierluigi. Come sempre sembra imperturbabile.
- Il mio aspetto non fa parte dell'iconografia e poi varia da cultura a cultura. Per gli antichi greci Thanatos, il dio della morte, era un giovane fanciullo alato. Poi c'è l'angelo della morte nelle religioni abramitiche e via dicendo. In ogni caso la morte è un concetto. Quella che vedi davanti a te è la personificazione di quel concetto. Io appaio in modo diverso agli occhi di persone diverse. Il mio aspetto riflette lo stato d'animo di chi mi sta davanti nei confronti del concetto che rappresento. La maggior parte delle persone con cui ho a che fare ha paura della morte e quindi ai loro occhi ho l'aspetto di uno scheletro. Chi ha terrore della morte mi vede come qualcosa di ancora più spaventoso. Tu hai imparato a conoscermi e a non aver paura di me. Ci concediamo una partita a scacchi quasi tutte le settimane da qualche mese a questa parte, da quando ti ho concesso di giocare per aver salva la tua vita.
- In effetti avevo l'impressione che col passare del tempo ti facessi sempre più bella. Ma credevo che il motivo fosse un altro.
- Quale?
- Lascia perdere.
Pierluigi muove un pezzo.
- Ma anche la prima volta avevi un aspetto tutt'altro che terrificante.
- Perchè già allora non avevi paura di quello che rappresento. Eri pronto ad affrontare il tuo destino. Quell'atteggiamento ti fece mantenere una freddezza sufficiente per poter vincere la partita.
La Morte muove un'altro pezzo.
- Ma come funziona? La partita a scacchi è concessa a tutti? Sarebbe un compito piuttosto impegnativo.
- Non è concessa a tutti in effetti. Ma non sono io a decidere. E' tutto scritto nel libro, lo sai. Chi muore, quando e come. In più, in alcuni rari casi, c'è una postilla che dice che la persona in questione ha la possibilità di giocarsi la vita a scacchi.
Pierluigi muove ancora un pezzo.
- Visto che siamo in tema di rivelazioni.
Pierluigi fa una pausa. Guarda la Morte con un sorrisino ironico.
- Sotto il mantello niente?
La Morte fulmina Pierluigi con lo sguardo ed agita la falce. Pierluigi per risposta si porta due dita alla bocca come per chiudersela con una cerniera. La partita a scacchi procede in silenzio per qualche minuto. Poi Pierluigi interrompe il silenzio malgrado il gesto di promessa.
- Stavo pensando.
Pierluigi interrompe di nuovo il suo discorso sul nascere. Poi riprende.
- Sul tuo libro ci sono i nomi di tutte le persone con relativa data e causa della morte, no?
La Morte fissa Pierluigi come a scrutare attraverso i suoi occhi il punto in cui il suo discorso vuole andare a concludersi, ma non si degna di rispondere alla domanda retorica.
- So che non sei molto interessata alle vicende politiche italiane, nè alle vicende politiche in generale, ma come ti ho già spiegato altre volte, abbiamo il peggior presidente del consiglio che un paese come il nostro possa avere. Un personaggio che sta distruggendo quel poco di etica pubblica che c'era rimasta.
La Morte muove un pezzo e poi guarda Pierluigi con uno sguardo di insofferenza.
- Se sai già che non sono interessata perchè me ne parli? Arriva al punto prima che mi spazientisca definitivamente.
- Vabbè, volevo solamente sapere se mi potessi lasciar dare una sbirciatina nel tuo libro per vedere quando giungerà la sua ora, perchè l'impressione è che si debba sopportarlo ancora per un tempo indefinito.
La Morte scuote la testa.
- Non se ne parla neanche.
- Certo che potresti anche essere un po' più flessibile. Fallo in nome della nostra amicizia. Perchè ormai possiamo considerarci amici, no?
La Morte guarda Pierluigi ma non risponde. Pierluigi muove un pezzo.
- Ok. Facciamo così. Se vinco questa partita mi dici quando giungerà la sua ora.
- Sei consapevole che da quando hai vinto la partita per la tua vita hai sempre perso? Per non parlare del fatto che nessuno ha mai sconfitto la Morte due volte. E in ogni caso stai già perdendo.
- Se sei così sicura di vincere non ti costa nulla accettare.
Pierluigi poggia la mano su quella della Morte che fa istintivamente per ritrarla, ma Pierluigi gliela afferra e la stringe.
- Allora affare fatto.
La Morte ritrae la mano e lo guarda con un'espressione spaventata.
- Ma sei impazzito? Hai appena fatto un patto con la Morte.
Pierluigi è spiazzato. Per la prima volta la Morte non ha uno sguardo imperturbabile o di rimprovero.
- Vuol dire che se perdi la partita...
La Morte non riesce a finire la frase ed abbassa il capo.
Entrambi ritengono che la giustizia in Italia violi i diritti fondamentali dell'uomo. Per questo motivo il Brasile ha rifiutato l'estradizione di un pluriomicida e per lo stesso assurdo motivo Berlusconi, tramite il suo ministro degli esteri, dichiara di voler ricorrere alla corte europea dei diritti dell'uomo.
Sono abitudinario e da quando vivo in questo anonimo paesino messicano trascorro ogni domenica mattina in Plaza 5 de Mayo, alla cantina davanti alla chiesa. Come ogni domenica mattina mi trovo a camminare stancamente sulla polverosa strada di terra rossa che dalla casupola dove abito porta all'incrocio con la Carretera Federal oltre la quale c'è il paese. L'azzurro del cielo è intervallato da alcune nuvole solitarie. La statua, che si trova sopra il tetto dell'officina di Ramon e che sembra una piccola copia del Cristo Redentore di Rio a cui mancasse il braccio destro, mi dà le spalle. Faccio ancora pochi passi ed arrivo all'incrocio. Il señor Arroyo è seduto su una delle sedie verdi di plastica sotto la tettoia di alluminio fuori dal suo negozio di miscelanea, cioè che vende un po' di tutto, a veder passare le macchine. E di macchine non ne passano molte da questa parti e anche adesso non ce n'è una a perdita d'occhio. Attraverso e lo saluto entrando nel negozio che fa anche le veci di ristorante e fermata dell'autobus del paese. Come ogni domenica compro una busta da lettere e come ogni domenica al bancone c'è Maribel, la figlia del señor Arroyo, che mi sorride e mi chiede se almeno questa volta la scriverò a lei la lettera. Le restituisco il sorriso, ma se che non lo farò.
Ogni domenica mattina mi siedo allo stesso tavolino fuori dalla cantina di fronte alla chiesa, ma oggi c'è seduto un tizio che non ho mai visto prima. Lo guardo perplesso e lui risponde con uno sguardo altrettanto perplesso. Desisto dall'idea di chiedergli di alzarsi e di restituirmi il posto e mi metto nel tavolino a fianco. La giornata non è iniziata sotto i migliori auspici. La chiesa è piccola, ma pittoresca. Tipicamente messicana, bianca con decorazioni azzurre. Sul lato sinistro c'è un campanile alto il doppio della chiesa, ma la campana manca, a quanto pare, da un sacco di tempo. Sicuramente da prima che io arrivassi. Dicono che l'abbiano rubata quelli del paese vicino per ripicca e perchè una volta costruita la loro chiesa ed il loro campanile non avevano più soldi per la campana. Il parroco del nostro paese pensa che ci siano modi migliori di spendere i pochi soldi a sua disposizione che in una campana. L'idea di riappropriarsi della propria penso sia ritenuta troppo faticosa per essere messa in pratica dai miei compaesani. Il portone è in realtà un cancelletto di ferro, colorato anche quello di azzurro, con un'improbabile tenda bianca di plastica che toglie quel poco di sacralità rimasta al posto. Delle bandierine bianche, rosse e verdi sono appese a festa dalla facciata della chiesa ai quattro angoli della piazza. Per quel che ne so, sono lì dalla notte dei tempi. Assorto nei miei pensieri non mi accorgo che l'usurpatore di tavolini si è alzato e quando mi sento toccare sulla spalla faccio un balzo sulla sedia. Dopo essersi scusato per aver disturbato, mi chiede se abbia idea di come mai il negozio del barbiere sia chiuso e sprangato. Tutti nel paese sanno che il barbiere è al De-Efe, come chiamano qui la capitale, dalle iniziali di Distrito Federal, per il funerale di una zia. Gli chiedo se è forestiero. Per tutta risposta mi guarda male e si rimette a sedere al suo posto, anzi al mio posto. Forse l'ha turbato il fatto che siano stati il mio accento ed il mio aspetto molto poco messicani a dargli dello straniero. In ogni caso non mi curo di lui ulteriormente e tiro fuori penna e foglio di carta che fermo, per non farmelo portar via dal vento, con una Coronita vuota che suppongo sia sul tavolo almeno dal giorno precedente.
Come ogni domenica le scrivo descrivendo accuratamente la melodia che il vento suona tra i pochi alberi e tra le bandierine e le storie che le forme delle nuvole raccontano e come si evolvono sotto dettatura dell'armonica suonata dal vento stesso. Oggi, inoltre, le racconto di Hector, del suo amore e di come si strugge per Maribel che però non lo degna di uno sguardo. Tutto questo senza che lei abbia la minima idea di come siano fatti Hector e Maribel. O Ramon e padre Pedro, il parroco del paese, e tutto il resto di umanità messicana che popola questo paesino di cui le racconto ogni settimana le vicissitudini. Le scrivo dello sconosciuto in cerca del barbiere. Del funerale gliel'avevo già scritto la settimana scorsa. In teoria in questo paesino sarebbe meno straniera lei del tizio al mio tavolino, ma in realtà non so neanche se le arrivino le lettere che le scrivo.
Quando ho finito la mia lettera, piego il foglio e lo metto nella busta. Poi ordino un succo di frutta e mi godo il colorato spettacolo di tutti gli abitanti del paese che vanno a messa vestiti a festa. Non posso fare a meno di notare che anche lo sconosciuto si alza dal tavolino e si dirige verso l'entrata della chiesa. Mentre chiude la porta della cantina per andare a sentire l'omelia di padre Pedro chiedo a Carmen se abbia idea di chi sia il tizio che ha usurpato il mio posto, ma lei per risposta alza semplicemente le spalle. Come ogni domenica sono l'unica anima viva fuori dalla chiesa a quest'ora. Anche lo spelacchiato cane di Ramon si accuccia davanti alla porta in fondo alla navata centrale. Le due cose che ho fatto più fatica a far accettare di me sono state l'ateismo e l'essere astemio. A dir la verità non sono sicuro che le abbiano del tutto accettate visto che continuano ad offrirmi da bere e raccontarmi dei famosi sermoni di padre Pedro. Il resto delle mie stranezze, prima fra tutte quella di essere arrivato dal nulla e non esser più partito, non hanno causato scalpore alcuno.
Aspetto la fine della messa leggendo un'edizione color panna di Cien Años de Soledad di Garcia-Marquez, comprato tre mesi fa insieme ad una nutrita scorta di altri libri durante l'ultima delle mie rare sortite nella capitale distrettuale che si trova a cinque ore di pullman dal paese. Leggere è una delle mie principali attività. Oltre allo scrivere. Non solo lettere per lei, ma anche racconti e una specie di romanzo autobiografico che nessuno potrà mai leggere, almeno finchè sarò in vita. E curo una sorta di orticello che ho messo su, dietro alla casupola.
Finita la messa, come tutte le domeniche, dal señor Arroyo si svolge un pranzo con tutte le personalità del paese ed io modestamente ne faccio parte, in quanto unico straniero in un paese dove nessun abitante ha mai messo piede fuori dal Messico. Poco prima che finisca la messa richiudo il libro e ritorno verso l'incrocio con la Carretera Federal. Aspetto gli altri al riparo dal sole sotto la tettoia del negozio del señor Arroyo. Oltre a lui ed a me, partecipano solitamente ad i pranzi domenicali: padre Pedro, il sindico Emiliano Gonzalez, il membro più anziano della comunità don Antonio, il barbiere ed infine Juan figlio di Carmen le volte che torna in paese da Acapulco dove studia medicina all'Universidad Autonoma de Guerrero, altrimenti in sostituzione sua madre. Oggi per via del funerale manca il barbiere, ma c'è Juan. Passo un quarto d'ora immerso nei miei pensieri, ma vengo riportato all'attenzione dal vociare sempre più intenso che mi avverte che i commensali stanno arrivando. Juan, con cui non ci vediamo da qualche settimana, mi saluta calorosamente ed inizia subito a raccontarmi delle sue ultime avventure nella grande città. A capotavola don Antonio, in quanto membro anziano, presiede la riunione che in genere viene fatta mentre aspettiamo che la moglie del señor Arroyo finsca di preparare il pranzo. Le bottiglie di mezcal iniziano ad arrivare sul tavolo attorno a cui sediamo su delle panche malferme. A portare le bottiglie è Maribel, che assiste divertita al consiglio cittadino quando non deve aiutare in cucina. Oggi all'ordine del giorno c'è la morte improvvisa e misteriosa di una gallina del pollaio di don Antonio, che ha la tendenza a ritenere di interesse pubblico tutto ciò che succede a casa sua. Il dibattito è intenso, come tutte le domeniche, indipendentemente dall'argomento. Io, per indole, mi trovo decisamente a mio agio in queste discussioni. Nel pieno della zuffa sulla gallina di don Antonio, senza che sia riuscito in pieno a capire quali siano le argomentazioni delle parti contrastanti, mi alzo e chiedo la parola. Come ho spiegato, godo di un certo rispetto nella comunità, malgrado non sia autoctono: Quindi, non dico che tutti facciano subito silenzio, ma almeno la discussione prosegue in modo sufficiente moderato da darmi modo di parlare. Riporto all'asseblea l'incontro che ho avuto poco prima, fuori dalla cantina di Carmen, con lo sconosciuto che cercava il barbiere. Don Antonio ammette di aver visto uno sconosciuto in chiesa rispondente alla mia descrizione e prontamente lo accusa dell'assassinio della sua gallina. La discussione riparte con nuovo furore e viene interrotta solamente dall'arrivo della moglie del señor Arroyo con la zuppa di langostinos. Il pranzo riesce ogni domenica ad appianare le divergenze di opinione. Maribel, la signora Arroyo e Carmen, la cui cantina è più spesso chiusa che aperta, si uniscono alla tavolata. Dopo la zuppa c'è della carne di capra cotta sul fuoco insieme a delle verdure. I complimenti alla cuoca si sprecano e le discussioni di pochi minuti prima sono già dimenticate.
Finito il pranzo consegno la lettera a Juan in modo che la porti con sé ad Acapulco. Le settimane in cui non torna al paese è la madre ad andare da lui e quindi è lei la depositaria della mia lettera. Ad Acapulco Juan consegna la lettera ad un suo amico che lavora su una nave da crociera che tutte le settimane fa la spola tra Acapulco e San Diego. A San Diego la lettera, ipoteticamente, viene francobollata e imbucata. La cosa sorprendente è che questa pratica venga vissuta da tutti come normale, senza che nessuno si chieda come mai non la spedisca direttamente dal negozio del señor Arroyo, dal quale l'autobus giornaliero la porterebbe agli uffici postali della capitale distrettuale. Se la lettera arrivi davvero in Italia, come ho già detto, non lo so. Così come non so se lei nel frattempo abbia cambiato città o semplicemente indirizzo. Considerando che tutto questo percorso è fatto in modo che non si possa risalire al mio luogo di residenza, è evidente come non abbia mai potuto mettere nella lettera un indirizzo al quale rispondermi. Queste incognite che pesano sulla mia corrispondenza non mi frenano da continuare a scriverle. E' l'unico contatto, anche se univoco, che posso avere con lei.
Dopo aver salutato tutta la compagnia, attraverso la deserta Carretera Federal, passo accanto all'officina di Ramon e alla pseudo-statua del Cristo Redentore senza un braccio e sono di nuovo sulla strada di terra rossa verso la mia casupola che dista dal paese una decina di minuti a piedi, di passo svelto. Quando arrivo, invece di rincasare, mi metto un po' sull'amaca sul retro a leggere Garcia-Marquez. Ma dopo poche pagine poso il libro aperto sul petto e fisso le nuvole che si rincorrono nel cielo sopra di me. Il mio pensiero torna di nuovo a lei. Lei che è bella, lo so, è passato del tempo ma io ce l'ho nel sangue ancora e vorrei, sì, io vorrei tornare laggiù da lei ma so che non andrò. Questo è un amore di contrabbando ed è meglio restar disteso qui a guardare il cielo davanti a me.
In una radura di un bosco vicino ad Elea tre uomini confabulano in compagnia di una tartaruga.
- Achille, allora siamo d'accordo? Cento dracme che non riesci a raggiungere la tartaruga se gli dai cento piedi di vantaggio.
- Fossi matto, Zenone, a lasciar passare un'occasione così facile per sfilarti cento dracme.
- Il qui presente Melisso di Samo, mio amico, si è offerto di fare da giudice imparziale della gara.
- Benissimo. Metti le cento dracme accanto alla tartaruga così che appena l'avrò raggiunta me le prenderò.
Achille, messosi nel posto prestabilito, si china in posizione di partenza pronto a scattare e ad umiliare Zenone e la tartaruga. Melisso alza il braccio in aria.
- Al mio tre abbasserò il braccio e quello sarà il segnale per la partenza. Uno.
Zenone si avvicina alla tartaruga per spronarla.
- Due.
Achille scalda i muscoli delle gambe.
- Tre.
Melisso abbassa il braccio, ma contemporaneamente alza la gamba e sgambetta Achille che in un lampo era scattato in avanti. L'eroe greco capitombola per terra goffamente. Prima che faccia in tempo a rialzarsi e a saltare addosso a Melisso per la rabbia, Zenone tira fuori una cerbottana e lo bersaglia con dei pallini di carta. Ancora a terra Achille si volta verso Zenone e lo minaccia delle peggiori morti immaginabili, ma Melisso gli si avvicina da dietro e lo prende a calci sul famoso tallone, unico suo punto debole. Achille si contorce dal dolore e Zenone approfitta del parapiglia per prendere in braccio la tartaruga e mettersi nelle tasche le monete.
- Te l'avevo detto che non saresti riuscito a raggiungerla.
Zenone e Melisso se la battono a gambe levate ed Achille resta a terra furente e dolorante.
Cantami o Diva, del Pelide Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti ai cheloni, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme di filosofi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò.
Non esiste, ben inteso, alcuna ragione perchè i nuovi totalitarismi somiglino ai vecchi. Il governo basato su manganelli e plotoni d'esecuzione, carestie artificiali, imprigionamenti e deportazioni di massa, è non soltanto disumano (cosa che oggi come oggi non preoccupa nessuno più di tanto), ma provatamente inefficiente e questo, in un'era di tecnologia avanzata, è un peccato contro lo Spirito Santo. Uno stato totalitario davvero "efficiente" sarebbe quello in cui l'onnipotente comitato esecutivo dei capi politici e il loro esercito di direttori soprintendessero a una popolazione di schiavi che ama tanto la propria schiavitù da non dovervi nemmeno essere costretta. Far amare agli schiavi la loro schiavitù: ecco qual è il compito ora assegnato negli Stati totalitari ai ministri della propaganda, ai caporedattori dei giornali e ai maestri di scuola.