16 febbraio 2010

Plaka


Ho conosciuto Mélanie tre giorni fa. Entrambi siamo ad Atene per un seminario che è finito stamattina. E' francese e me ne sono innamorato. Non del fatto che sia francese. Di lei indipendentemente dal paese di provenienza. E' stata lei a venire da me il primo giorno del seminario, durante il pranzo. O meglio, si è avvicinata a me e ad un mio collega mentre stavamo parlando in francese. Io stentatamente. Non conosceva nessuno e la lingua familiare le ha fatto prendere coraggio. Era la prima volta che frequentava questo tipo di seminari, che si svolgevano a cadenze regolari in diverse città europee. Da quel momento ci siamo seduti sempre uno vicino all'altra, sia al seminario che sul bus, noleggiato dagli organizzatori, che ci riportava in albergo.
Non abbiamo scambiato molte parole in questi giorni. Sia io che lei siamo di poche parole. Non so cosa mi abbia fatto innamorare di lei. E' carina. Non una bellezza abbagliante o sconvolgente. E' carina. Una ragazza acqua e sapone. Forse il suo sorriso, che mi è piaciuto da subito, malgrado qualche dente storto. Forse e soprattutto i suoi occhi, di un colore che non saprei descrivere e che non avevo mai visto prima. E il suo sguardo sempre perso nel vuoto, assorta nei pensieri. Per non parlare dello zainetto rosso che sembrava più adatto ad una studentessa del liceo che ad una neolaureata.
Oggi, finito il seminario, abbiamo passato il nostro ultimo pomeriggio ad Atene a passeggiare insieme per Plaka, il caratteristico quartiere vecchio della capitale greca. Ci siamo persi innumerevoli volte nel dedalo di vicoli, stradine e scale, osservando le casette che s'arrampicano sul lato est dell'Acropoli. Domani ognuno prenderà il proprio aereo e non è detto che ci sarà una prossima volta in cui ci potremmo vedere.
E' un po' un'ultima cena quella che stiamo per consumare ad un tavolo all'aperto di un ristorante vicino alla fermata della metro di Monastiraki. Mentre aspettiamo gli antipasti che abbiamo ordinato, degli involtini di riso e carne avvolti in foglie di vite, scherziamo sul logo stilizzato del ristorante sulla tovaglia di carta e su cosa potrebbe rappresentare. Lei tira fuori una penna e disegna un omino stilizzato utilizzando come torso una elle del nome del ristorante. I capelli sembrano una cresta e allora  trasforma l'omino in un punk. Le dico che la tovaglia di carta me la porterò a casa io, cascasse il mondo. 
La guardo e le sorrido. Tra poco dovrò dirle addio, ma non sono triste. Non ancora almeno.

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