31 gennaio 2010

Addio mondo crudele

Era una notte di pioggia battente. Le luci della città erano come lucciole viste dalla collina. Il vetro della macchina sempre più bagnato rendeva la vista delle cose appannata. Fuochi d'artificio salivano ed esplodevano in cielo come fiori in procinto di sbocciare.
Era una notte di pioggia battente quando decisi che avrei detto addio a questo mondo crudele. Era l'ultima notte dell'anno. Mezzanotte. Scesi dalla macchina. Aprii le braccia, come per aspettare un ultimo abbraccio dalla natura che mi circondava. Poi rivolsi lo sguardo al cielo. Pensai che potesse essere una buona idea sentire per l'ultima volta la sensazione della pioggia sul viso.
Faceva un caldo insolito per essere pieno inverno. Il tempo era sempre meno prevedibile. Caldo d'inverno, freddo d'estate. Ormai le regole della meteorologia sembravano solamente dei timidi consigli. L'acqua, però, continuava ad essere bagnata. E il cielo ne mandava giù a secchiate. In pochi secondi ero già fradicio.
Non so per quanto tempo restai in quella posizione, sotto la pioggia. Potrebbero essere stati cinque minuti come un'ora. L'unica cosa sicura è che quando rientrai in macchina le braccia mi facevano male per averle tenute a lungo in una posizione per me innaturale. Accesi il riscaldamento. Non volevo andarmene con il raffreddore.
Non erano molte le cose che stavo lasciando in sospeso. Avevo perso il lavoro da poco. Perso poi. Mi avevano licenziato di punto in bianco. Non ero abbastanza produttivo, mi avevano detto. E probabilmente avevano ragione. Ma la conseguenza fu che mi ritrovai senza un lavoro e con l'affitto da pagare. Considerando che anche con lo stipendio facevo fatica a tirare avanti, mi sarei trovato in mezzo ad una strada. Di trovare un nuovo lavoro non se ne parlava. C'era la crisi. Una crisi mondiale. C'erano intere nazioni che andavano in bancarotta, figurarsi se ci sarebbe stato spazio per me.
Amici non ne avevo. Almeno non di quelli veri disposti a qualcosa per aiutare un amico. Conoscenti al massimo. Gente con cui uscire a bere una birra la sera, con cui fare quattro chiacchere sul nulla. Dopo il licenziamento si volatilizzarono come neve al sole. Di ragazza non ne toccavo una da anni. Non ero sicuro neanche di ricordarmi come fossero fatte. Entrambi i miei genitori erano morti due anni prima nella famosa epidemia di influenza che aveva fatto migliaia e migliaia di vittime in tutta Europa.
Non avevo nessuno a cui fare un ultimo saluto, a cui scrivere qualche parola. Nessuno avrebbe provato a farmi cambiare idea. Non che ci fosse stato modo per farmela cambiare. Tutto nella mia testa era chiaro. Nessun tentennamento del pensiero.
Misi in moto la macchina e iniziai a guidare per le tortuose stradine di campagna che correvano per le colline intorno alla mia città. L'intensità della pioggia si fece sempre più forte. Guidare era ancora una delle poche cose che mi dava piacere. Non incontrai alcuna macchina durante tutta la notte che passai su quelle strade nè anima viva.
Tornai a casa alle sei di mattina, mi sdraiai sul letto ma non chiusi occhio. Passai tutta la giornata del primo dell'anno steso sul letto a pensare a questi miei trent'anni di vita sulla terra. Mi ci vollero un paio di giorni per prepararmi. Mi presentai all'interporto la mattina del 4 Gennaio. Mi gustai la vista intorno a me per alcuni secondi e poi m'imbarcai.
Sono sei mesi ormai che ho abbandonato la terra a bordo di un'astronave mercantile diretta nelle profondità della galassia a portare generi di prima necessità a quei pionieri alla ricerca di nuovi mondi dove stabilire delle colonie. Alla ricerca di una speranza che sulla terra ormai non c'è più da centinaia di anni. Un viaggio verso la frontiera ultima, quella dello spazio. Un viaggio nel vuoto che finalmente mi ha dato serenità. Non ne ho la certezza, ma sono sempre più convinto che la terra non la rivedrò più.


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