La prima volta che vidi l'albero dalle foglie arancioni fu una domenica mattina d'autunno. Mi ero trasferito da poche settimane, per motivi di lavoro, in un piccolo paese di collina. Era il primo weekend di tranquillità dopo il caos del trasloco. Finalmente tutto sembrava a posto e, dopo un sabato di pioggia battente passato in casa a leggere, la domenica mattina volli approfittare del cielo incredibilmente azzurro per fare una camminata per i boschi che si estendevano sui lievi pendii che sovrastavano il paese.
Allacciarmi le scarpe da trekking mi fece uno strano effetto. Mi fece pensare alle strade coperte di neve della mia città durante i lunghi inverni. Prima di allora avevo sempre vissuto tra lo smog ed il rumore della città. I cambiamenti che comportava l'essersi trasferito in campagna ancora non li avevo assimilati. Da una parte il nuovo lavoro e dall'altra il trasloco non me ne avevano data possibilità.
Quella mattina presi un sentiero che partiva subito dietro casa mia e s'inoltrava nel bosco. L'autunno era dappertutto. Nei colori che s'ingiallivano, nell'odore della terra bagnata dopo la pioggia e nel vento che raffrescava l'aria, illuminata da un sole che sembrava fuori posto.
Ogni tanto il sentiero si biforcava in ramificazioni e io sceglievo la strada da prendere, ispirato dal momento, senza pensare troppo a tenere a mente il modo per tornare a casa. L'essere in mezzo alla natura per la prima volta dopo molto tempo era l'unico mio pensiero.
Ad un certo punto mi ritrovai in un vicolo cieco. Il sentiero finiva bruscamente ed io decisi di riavviarmi verso casa. O di provarci almeno. Perchè dopo aver tentato di percorrere la strada inversa ed aver passato un paio di bivi, mi ritrovai davanti ad un ponte su un torrente da cui non ero passato nel percorso di andata. Mi ero perso. Inequivocabilmente. Ma invece di tornare indietro a cercare il giusto sentiero, per qualche strana deviazione della mia mente, mi sentii ispirato a proseguire. Cinque minuti di cammino dopo, il bosco si aprì in una radura piuttosto ampia e leggermente in discesa. Alle mie spalle, a dominarla, un albero di non so che specie dall'imponente chioma arancione, talmente vivace che sembrava inadatta ad un albero. Le foglie già cadute formavano ai suoi piedi una sorta di tappeto. La vista verso valle, da sotto i suoi rami, era meravigliosa. Racchiudeva in un abbraccio tutti i colli circostanti che grazie all'autunno erano un'esplosione di sfumature di giallo e di rosso con l'intrusione di qualche stoico sempreverde. Riuscii anche a vedere qualche tetto del paese e quindi ad orientarmi per trovare il modo di tornare a casa. Cosa che mi riuscì, non senza difficoltà.
Durante quell'autunno tornai sotto le foglie arancioni di quell'albero in quasi tutti i weekend in cui il tempo lo permettesse. Iniziai a portarmi dietro da leggere e da scrivere. Il posto mi trasmetteva serenità come nessun altro posto aveva mai fatto prima. Lo sentivo mio. Le sue foglie continuavano a cadere, ma sembravano non finire mai, quasi come se ce ne fossero infinite sui suoi rami.
Poi arrivò l'inverno. All'improvviso. Le temperature crollarono, le giornate di pioggia erano sempre più frequenti, il freddo più intenso ed alla fine la pioggia diventò neve. Di uscire e camminare nei boschi non se ne parlava. Complici anche un lavoro sempre più presente e alcune nuove amicizie, persi l'abitudine delle passeggiate in solitaria. Per tutta la primavera e l'estate seguenti non tornai più dalle parti dell'albero arancione. Non ebbi, quindi, la possibilità di vederlo spoglio, nè ebbi l'occasione di vedere i colori che assumesse con l'arrivo della primavera. La mia immaginazione si fossilizzò sul fatto che le sue foglie rimanessero perennemente arancioni ed in un continuo stato d'indecisione tra cadere e rimanere sull'albero.
to be continued...
to be continued...
Mi hai ricordato Kafka Tamura che si addentra nel bosco sena voglia di venirne fuori.
RispondiEliminanon so chi sia kafka tamura, ma suppongo che non sia parente di kafka franz
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