Con il nuovo arrivo dell'autunno qualcosa dentro di me cambiò. Il mio entusiasmo per in nuovo lavoro si raffreddò progressivamente, così come si raffreddarono i rapporti con le nuove amicizie. Un senso di inquietudine e inadeguatezza montò progressivamente dentro di me e questo fece in modo che per qualche settimana i miei spostamenti si limitarono a quelli tra casa e lavoro e viceversa.
Fu in una bella domenica di metà autunno che mi decisi a rompere questo rituale per rimettermi le scarpe da trekking e tornare a far visita al mio albero arancione. Era tempo per ritrovare un po' di serenità e quello mi sembrò l'unico modo per riuscirci. Malgrado fosse quasi un anno che non rimettevo piede su quei sentieri e nonostante la memoria non sia mai stata una delle mie doti migliori, riuscii ad orientarmi senza grossi problemi e ad arrivare alla radura senza perdermi.
Non penso di essere in grado di riuscire a tramutare il parole la sensazione che provai quando vidi un'altra persona seduta sotto la chioma arancione dell'albero. Fu come un tradimento. La voglia di girare i tacchi e tornarmene da dov'ero ventuo era molto alta, ma un misto tra la curiosità di capire chi si fosse appropriato di un luogo che sentivo mio e un sentimento di vendetta di una così spudorata appropriazione indebita di luogo pubblico, mi fecero cambiare idea.
La persona sotto l'albero indossava un cappellino da baseball ed un ampio maglione. Da dove ero, quindi, non riuscivo a distinguerne età, sesso o altro. Stava scrivendo e non prestò alcuna attenzione a me che mi avvicinavo. Non si accorse di me finchè non fui a pochi passi. Allora mi guardò e, dopo un attimo di stupore nel vedere qualcun'altro in un luogo apparentemente così isolato, mi sorrise e il mio spirito vendicativo fu disarmato dal suo sorriso. Era una ragazza.
Iniziammo a parlare un po'. Mi disse che si era trasferita in paese poco più di un mese prima. Anche lei, come era successo a me l'anno precedente, si era imbattuta in questo angolo di paradiso per sbaglio, vagando per questi boschi la settimana precedente. Claudia era il suo nome. Lo è ancora. La mia ostilità iniziale scomparve del tutto e mi decisi a raccontarle del tempo che avevo passato in quel luogo l'autunno passato. Di come non riuscissi ad immaginare quel'albero in un periodo diverso e della gelosia che avevo provato nel vederci un'altra persona seduta sotto. La cosa la fece ridere e mi chiese se avrebbe potuto continuare a frequentare quel posto. Le risposi che mi avrebbe fatto piacere dividerlo con lei. A patto che non spargesse la voce in giro altrimenti in poco tempo si sarebbe riempito di gente, ci avrebbero costruito dei fast food, un albergo a quattro stelle con piscina, uno svincolo autostradale, un aeroporto e chissà che altre diavolerie.
Facemmo insieme parte della strada verso il paese, ma prima di arrivarci lei dovette prendere un sentiero diverso. Quando ci separammo non ci demmo alcun appuntamento, ma era implicito che ci saremmo rivisti sotto l'albero dalle foglie arancioni. E così avvenne il sabato dopo, malgrado il cielo nuvoloso ed il vento insistente. La cosa buffa è che non mi capitò d'incontrarla durante la settimana in paese, che non era certo una metropoli tentacolare.
Continuammo ad incontrarci in quel posto e solo in quel posto nelle settimane seguenti. Ci incontravamo e parlavamo di noi e delle nostre vite, dei nostri pensieri, dei nostri sogni e delle nostre preoccupazioni. A volte stavamo in silenzio a leggere o semplicemente a guardare il panorama davanti a noi. Poi ci scambiavamo consigli sulle letture e leggevamo le storie che l'altro scriveva.
Presto mi resi conto che era diversa da qualsiasi altra ragazza che avevo mai conosciuto. Che era diversa da qualsiasi altra persona che avevo mai conosciuto. Mi resi conto che spesso mi ritrovavo senza parole davanti ad un suo gesto, per insignificante che fosse, o affascinato da quello che diceva e da come lo diceva. E quando me ne resi conto ero già perdutamente ed irreversibilimente innamorato di lei.
to be continued...
Fu in una bella domenica di metà autunno che mi decisi a rompere questo rituale per rimettermi le scarpe da trekking e tornare a far visita al mio albero arancione. Era tempo per ritrovare un po' di serenità e quello mi sembrò l'unico modo per riuscirci. Malgrado fosse quasi un anno che non rimettevo piede su quei sentieri e nonostante la memoria non sia mai stata una delle mie doti migliori, riuscii ad orientarmi senza grossi problemi e ad arrivare alla radura senza perdermi.
Non penso di essere in grado di riuscire a tramutare il parole la sensazione che provai quando vidi un'altra persona seduta sotto la chioma arancione dell'albero. Fu come un tradimento. La voglia di girare i tacchi e tornarmene da dov'ero ventuo era molto alta, ma un misto tra la curiosità di capire chi si fosse appropriato di un luogo che sentivo mio e un sentimento di vendetta di una così spudorata appropriazione indebita di luogo pubblico, mi fecero cambiare idea.
La persona sotto l'albero indossava un cappellino da baseball ed un ampio maglione. Da dove ero, quindi, non riuscivo a distinguerne età, sesso o altro. Stava scrivendo e non prestò alcuna attenzione a me che mi avvicinavo. Non si accorse di me finchè non fui a pochi passi. Allora mi guardò e, dopo un attimo di stupore nel vedere qualcun'altro in un luogo apparentemente così isolato, mi sorrise e il mio spirito vendicativo fu disarmato dal suo sorriso. Era una ragazza.
Iniziammo a parlare un po'. Mi disse che si era trasferita in paese poco più di un mese prima. Anche lei, come era successo a me l'anno precedente, si era imbattuta in questo angolo di paradiso per sbaglio, vagando per questi boschi la settimana precedente. Claudia era il suo nome. Lo è ancora. La mia ostilità iniziale scomparve del tutto e mi decisi a raccontarle del tempo che avevo passato in quel luogo l'autunno passato. Di come non riuscissi ad immaginare quel'albero in un periodo diverso e della gelosia che avevo provato nel vederci un'altra persona seduta sotto. La cosa la fece ridere e mi chiese se avrebbe potuto continuare a frequentare quel posto. Le risposi che mi avrebbe fatto piacere dividerlo con lei. A patto che non spargesse la voce in giro altrimenti in poco tempo si sarebbe riempito di gente, ci avrebbero costruito dei fast food, un albergo a quattro stelle con piscina, uno svincolo autostradale, un aeroporto e chissà che altre diavolerie.
Facemmo insieme parte della strada verso il paese, ma prima di arrivarci lei dovette prendere un sentiero diverso. Quando ci separammo non ci demmo alcun appuntamento, ma era implicito che ci saremmo rivisti sotto l'albero dalle foglie arancioni. E così avvenne il sabato dopo, malgrado il cielo nuvoloso ed il vento insistente. La cosa buffa è che non mi capitò d'incontrarla durante la settimana in paese, che non era certo una metropoli tentacolare.
Continuammo ad incontrarci in quel posto e solo in quel posto nelle settimane seguenti. Ci incontravamo e parlavamo di noi e delle nostre vite, dei nostri pensieri, dei nostri sogni e delle nostre preoccupazioni. A volte stavamo in silenzio a leggere o semplicemente a guardare il panorama davanti a noi. Poi ci scambiavamo consigli sulle letture e leggevamo le storie che l'altro scriveva.
Presto mi resi conto che era diversa da qualsiasi altra ragazza che avevo mai conosciuto. Che era diversa da qualsiasi altra persona che avevo mai conosciuto. Mi resi conto che spesso mi ritrovavo senza parole davanti ad un suo gesto, per insignificante che fosse, o affascinato da quello che diceva e da come lo diceva. E quando me ne resi conto ero già perdutamente ed irreversibilimente innamorato di lei.
to be continued...
...e non è ancora finita
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